A.C. 3098-A
Grazie, Presidente, colleghi, signora Ministro, rappresentanti del Governo, intendo intervenire su un punto specifico che ho seguito in qualche iniziativa che si è tradotta in una serie di emendamenti che abbiamo approvato nella I Commissione. Il tema riguarda l'organizzazione dei concorsi pubblici, ovvero il modo con cui la pubblica amministrazione italiana è in grado di aggiornare il proprio profilo, di mutare la propria natura e di adeguarsi a standard che, per il resto, non la vedono differente rispetto alle altre pubbliche amministrazioni degli altri Paesi che riteniamo essere un modello di efficienza.
Non abbiamo troppi dipendenti pubblici, non abbiamo dipendenti pubblici che non sono di buona qualità: semplicemente, non abbiamo una modalità di accesso all'impiego pubblico che corrisponda, in maniera completa e compiuta, alla selezione di coloro i quali siano più vocati e più preparati per ricoprire quei ruoli in maniera corrispondente a come vorrebbe la Costituzione, cioè attraverso il concorso pubblico.
È, invece, invalsa negli anni una prassi deleteria, da sconfiggere, da superare, per cui le forme di ingresso sono le più diverse; poi si procede nelle amministrazioni locali, regionali e anche in quelle centrali per successive stabilizzazioni. Perché tale questione sia superata e risolta è fondamentale provare a riorganizzare il concorso pubblico e dare al concorso pubblico uno standard di capacità organizzativa, di trasparenza, di affidamento, nella correttezza della selezione, che consenta a chi si orienta nella scelta dei percorsi di studio, a chi poi deve scegliere che cosa fare, dopo che finisce le proprie esperienze formative, di poter contare su un patto chiaro, su regole certe.
Per questo, il primo punto è legato al fatto che si ripristini l'idea che il concorso pubblico è la via ordinaria – direi l'unica – per diventare impiegati pubblici, per prestare la propria attività professionale a favore dello Stato e delle istituzioni che tutelano e difendono il bene pubblico. È una vocazione che in molti hanno e dalla quale molti si astengono o si arrendono per incapacità di comprendere come funzioni il meccanismo di selezione.
Occorre, molto spesso, anche semplicemente imitare i meccanismi che in Europa e nel mondo funzionano meglio. Si possono gestire anche procedure di concorso molto onerose, da un punto di vista organizzativo e quantitativo, in maniera moderna ed efficiente. Occorre, ad esempio – l'abbiamo fatto con un emendamento che prevede esplicitamente questa possibilità –, riconoscere che le competenze linguistiche sono essenziali, se vogliamo una pubblica amministrazione realmente europea, cioè capace di partecipare a quel livello plurale di governo che parte dalle istituzioni territoriali e arriva a quelle europee. In questo modo, noi possiamo realmente modificare il codice di funzionamento delle amministrazioni pubbliche e possiamo fare in modo che l'immissione di personale sia graduale e regolare nel tempo, con delle metodologie e con delle tempistiche che siano chiare a coloro i quali vorremmo che non fossero più condannati ad un continuo tentativo, quasi a un triste turismo concorsuale, nel senso che si prova tante volte, in attesa che giunga la volta buona per circostanze che sono, spesso, fortuite o fortunose, a quel punto.
Invece, con alcune norme che abbiamo introdotto – che voglio citare, e che potranno essere trasposte, poi, in maniera più dettagliata nella delega da parte del Governo –, io credo che si facciano grandi passi in avanti: un organismo che sia una tecnostruttura moderna, che abbia la responsabilità di organizzare, anche in maniera ovviamente decentrata, tutti i concorsi pubblici, credo significhi un grande passo in avanti. Non dovrà essere più ciascuna amministrazione a doversi dotare di strutture organizzative, volta per volta, e di commissioni concorsuali e – devo dire – talvolta anche con delle naturali influenze, con legami troppo diretti, tra amministrazioni e destinatari di un bando di concorso. In questo modo, credo che sarà possibile rendere moderna, trasparente e credibilmente equa la fase di selezione nei concorsi.
L'idea è che sia possibile acquisire, una volta per più volte, una preparazione documentata in una determinata materia, come se si costruisse una sorte di curriculum del candidato, per cui l'istituzione che organizza i concorsi sa che la mia qualificazione in diritto amministrativo o in economia politica vale tot e per qualche anno vale quel livello di preparazione documentato, acquisito in centri che hanno la capacità di fornire questa qualificazione, per poi spostare sul concorso la cosa più importante, ovvero la capacità di trasporre le conoscenze teoriche nella capacità pratica di affrontare e risolvere i problemi connessi a quello specifico profilo professionale per cui si bandisce un concorso. Quindi, l'idea è che la prova finale testi realmente la capacità di lavoro in quell'organizzazione e non solo ed esclusivamente conoscenze puramente teoriche.
L'idea è che i requisiti di accesso possano ampliare le opportunità ed essere, anche questi, capaci di valorizzare chi sa di più e chi sa di più le cose che servono a quella determinata attività professionale presso la pubblica amministrazione. Ho citato il tema della lingua inglese o di altre lingue straniere, che sarà possibile che costituisca in futuro requisito per l'accesso o titolo di merito da valutare da parte delle commissioni concorsuali.
Vi è il tema del dottorato di ricerca: chi è dottore di ricerca, chi ha studiato per almeno tre anni, potrà utilizzare quella conoscenza in un modo che sarà valorizzato (vedremo come, dai decreti), attraverso una normativa che abbia introdotto in questa legge.
C’è poi il tema del voto di laurea, che ha scatenato un po’ di polemiche, che io vorrei, non chiarire, ma sul quale vorrei dare un'opinione, che credo possa essere condivisa. Io avevo proposto che non vi fosse il voto minimo come requisito per la partecipazione ai concorsi. In Commissione abbiamo approvato una norma un po’ diversa, che prevedeva la possibilità che vi fosse un voto minimo, ma che fosse parametrato a seconda della natura dell'istituzione, ovvero a seconda dell'ateneo. Mi sento di condividere ciò che è accaduto e ciò che è accaduto poi, in particolare, grazie al parere che ha dato la Commissione cultura della Camera. Il tema della differenziazione tra gli atenei esiste, è il caso che ne prendiamo atto e se ne deve trattare quando si tratta di università. Si deve trattare dicendo la verità alle persone e lavorando perché vi sia coesione nel sistema universitario, perché vi siano risorse anche per le università che soffrono e che devono essere valutate, perché vi sia la possibilità per gli studenti di andare in università che li possano formare al meglio e, quindi, perché vi sia un vero diritto allo studio. Leggevo oggi che quasi 50 mila studenti sono idonei non vincitori: è uno scandalo italiano che si perpetua e che si concentra soprattutto nelle regioni del sud.
Quindi, potremmo dire che nel privato la differenziazione viene riconosciuta e dovremmo dire che questo è un tema che va affrontato in termini di politica e legislazione universitaria, mentre occorre considerare che non è possibile, attraverso leggi come questa, per esempio, alterare il valore legale del titolo di studio. Ciò significa semplicemente – non è un totemideologico – che, per fare certe cose, per dare certi esami di Stato, per partecipare a certi concorsi pubblici, occorre un titolo di studio che a quel punto deve avere un valore omogeneo.
Io ho riproposto degli emendamenti, potremmo farlo per legge, ma si può fare anche senza che intervenga la legge. È possibile affermare che, con i concorsi che abbiamo riformato, le persone possono essere valutate nel concorso e non prima del concorso, per un voto di laurea che è per sua natura differente da ateneo a ateneo. Infatti, è legittimo che gli atenei e i corsi di laurea valutino diversamente la preparazione degli studenti e che talvolta ciò possa alterare le scelte degli studenti, perché magari si va in un ateneo o in un corso di laurea – e ci sono anche dei corsi di laurea che sono forse troppo generosi in questo senso – che ti dà la titolarità a partecipare ad un concorso. Cerchiamo, invece, di aprire la possibilità a tutti di partecipare al concorso pubblico e di valutare poi le persone nel concorso. Lo si può fare anche qua, intervenendo nella legge, ma si può fare anche con strumenti che riguardano le decisioni delle amministrazioni e, quindi, con provvedimenti di natura e di rango inferiore alla legge. Cerchiamo di non limitare l'accesso, una volta per tutte: tu ti laurei e puoi fare un concorso solo se hai un determinato titolo di studio. Cito un esempio, che è semplice da comprendere: è possibile che si possa partecipare a un concorso per la carriera diplomatica se si è laureati in marketing, in economia o in diritto e non si possa farlo se si è laureati in filosofia o in lettere antiche ? Io credo di no e credo che potremmo intervenire per ampliare la possibilità delle persone di partecipare ai concorsi pubblici.
In conclusione, con queste modifiche che abbiamo introdotto in Commissione – io ringrazio il Governo, il relatore e la maggioranza, che hanno dato anche a me la possibilità di interagire in questo processo –, credo abbiamo fatto delle cose molto positive e credo che, se noi diremo – e lo diremo chiaramente nei prossimi mesi – ai giovani italiani che entrare a fare parte della pubblica amministrazione è una cosa bella, è una cosa che deve motivare, che è possibile e che è possibile farlo con equità e trasparenza, avremo fatto una delle più grandi riforme della pubblica amministrazione italiana.